di Ferdinando Cocciolo “Il re è nudo”, come si suol dire quando una persona, un personaggio illustre, perde tutto: credibilità, importanza, dignità, e il ruolo che gli è stato sempre assegnato. Re nudo è l’americano Lance Armstrong, colui che ha (o avrebbe, a questo punto) tracciato la grande storia del Tour de France con ben sette titoli, dal 1999 al 2005, colui che rientrò nel mondo del ciclismo e alle competizioni dopo aver sconfitto, con infinita determinazione, “l’infido nemico” del cancro. Insomma, il classico esempio, naturalmente “super valutato ed elogiato” sugli alti piani mediatici, di coraggio e determinazione nel non arrendersi, nell’affrontare la vita a viso aperto, soprattutto nel saper coniugare spirito sportivo ed impegno sociale. Il classico personaggio che piace alla gente, che commuove, in un mondo dove, purtroppo e da sempre, imperversano furbizia e mancanza di valori. Un ciclismo anche rassegnato, a convivere con doping e malandrini vari. Già, doping, quella parola che nessuno vorrebbe nominare, che fa paura ma purtroppo esiste, ad uso e consumo di chi agisce e specula sulla vera natura dello sport, e ormai usuale in uno come il ciclismo, che da molti anni paga dazio, con situazioni e storie scabrose legate anche a campioni. E da un po’ di tempo la parola doping fa anche parte della vita, della storia ciclistica del quarantenne Armstrong, uno che si è sempre vantato, orgogliosamente, di essersi impegnato nella lotta ad ogni forma di ingiustizia nello sport, uno che con la creazione di una fondazione intitolata al suo nome ha aiutato i bisognosi ed i malati di cancro, un uomo che già diverso tempo fa era stato in grado di “rintuzzare” anche le prime accuse di uso di doping (anche alla luce delle frequentazioni con il solito dott. Ferrari) portate avanti dall’ex ciclista Filippo Simeoni. Il ciclismo mondiale degli anni 90 e 2000 è stato devastato dal fenomeno del doping, più di ogni altro sport, e qui ci sarebbe da aprire una parentesi sul perché in altre discipline non si siano ottenuti gli stessi effetti e risultati. Il ciclismo italiano ha visto la drammatica vicenda di Marco Pantani, uno dei rivali di Lance Armstrong proprio al Tour de France (e sin troppo tartassato dalle procure sportive e ordinarie, nonostante non sia mai risultato positivo, e quando poi è stato sin troppo chiaro che il diavolo non fosse solo lui), quella altrettanto drammatica di un altro grande, Ivan Basso (secondo al Tour del 2005 dietro Lance) che ha tuttavia riconosciuto di aver sbagliato ed è rientrato alla grande dopo la squalifica, vincendo il Giro nel 2010. Per non parlare dei casi relativi a Danilo Di Luca, Stefano Garzelli, Francesco Casagrande, Davide Rebellin, Franco Pellizzotti (strana storia mai chiarita legata al passaporto biologico). Ma il ciclismo di casa nostra, al di là di un certo tipo di giustizia sportiva inefficace e “troppo giustizialista” (vedi l’attuale caso Pozzato), ha saputo sempre rialzarsi e gli stessi protagonisti dei casi sopra citati hanno dato un senso alla continuazione della loro carriera, espiando e vincendo di nuovo. Ma Lance Armstrong è di un’altra categoria, è il fuoriclasse assoluto, il punto di riferimento massimo di un’ epoca del ciclismo che va dal 1999 al 2005 (alla quale, nel bene e nel male, hanno quindi partecipato anche Pantani e Jan Ulrich), ed Alberto Contador ne è degno erede. Eppure, in questi giorni, Armstrong equivale a doping, e la sua “bella e per certi versi invidiabile” storia sembra proprio volgere al termine. Già due anni fa, subito dopo il ritiro definitivo dell’americano dalle competizioni, l’USADA (Agenzia americana antidoping) aveva iniziato ad indagare seriamente su Lance e su pratiche dopanti che avrebbe messo in atto insieme ad altri atleti e dirigenti della squadra americana Us Postal. Una brutta vicenda, l’ennesima per chi ama il ciclismo a prescindere, legata a rapporti professionali e frequentazioni del vincitore di 7 Tour con il dott. Michele Ferrari. Ancora lui, sempre lui, il guru del ciclismo, colui che avrebbe messo nei guai anche Filippo Pozzato, Fabrizio Macchi e il podista Schwazer ma, nel caso Armstrong, non avrebbe avuto un ruolo significativo. Questa è una storia in cui, secondo l’USADA, “Lance sarebbe stato la mente e l’accentratore”. Epo, trasfusioni di sangue, di tutto e di più… ma come è mai possibile? Proprio tu, Lance, “icona del ciclismo avventuriero e della sofferenza”, che hai sempre negato le accuse, che ora rinunci praticamente a difenderti dalle ultime, durissime. Eppure i dirigenti dell’USADA, in attesa naturalmente delle decisioni dell’UCI, avrebbero prove schiaccianti su un ampio percorso della sua carriera, che mettono in discussione un corso della storia e rischiano di riscrivere gli albi d’oro dei 7 Tour de France, ora “sporcati” dal dubbio. Se tutto fosse vero, ci si chiede che senso ha squalificare, radiare un ciclista che ha già lasciato l’attività agonistica da due anni, che quindi rinuncia al ricorso contro l’attività istruttoria dell’USADA, consapevole che la sua carriera è già finita. Altra domanda: ma non si poteva scoprire tutto questo prima, quando Lance correva, e come mai non è mai risultato positivo ai controlli antidoping? Una risposta la fornisce Michel Rieu, consigliere scientifico dell’Agenzia francese antidoping, ed è agghiacciante: “Lance Armstrong era avvertito di ogni controllo che avrebbe dovuto subire e i prelevatori avevano grandi difficoltà ad effettuare controlli a sorpresa senza che il texano beneficiasse di un lasso di tempo di venti minuti, e in venti minuti c’era possibilità di molte manipolazioni…”. Dichiarazioni molto pesanti, che ti farebbero venir voglia davvero di far scomparire dai ricordi il nome Lance Armstrong e di gridare con rabbia “ma che ciclismo è questo…”. Ma vale la pena far riferimento ad altre dichiarazioni del signor Rieu, che molto probabilmente non troveranno mai risposta in un uomo che ha rinunciato anche a difendersi. “L’americano aveva appoggi anche al CIO e all’UCI ed era sempre attorniato da fisiologi. Aveva mezzi incredibili e circolava voce che facesse arrivare il suo sangue negli Stati Uniti con un jet privato”. Cosa aggiungere? Che questo non è l’Armstrong che credevamo di conoscere, che tuttavia la giustizia sportiva deve fare il suo corso, anche se l’USADA ha […]
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